ARCHITETTURA e nuove presenze delle superfici

VALORI DI SUPERFICIE_"L'architettura ha semplificato le sue superfici, ma le va rivestendo di materiali incorruttibili: perchè con la mancanza di aggetti, di pietre, di gronde, gli intonaci invecchiano male, specie nelle atmosfere cittadine grevi di residui di nafta. Occorrono rivestimenti che la pioggia stessa lavi, e che si accordino sia con i materiali moderni dei serramenti, come l'alluminio, sia con i materiali tradizionali, come il legno.

...Questi materiali, vecchi e nuovi, ora vanno "movendosi", vanno cioè movendo con rilievi la superficie che essi rappresentano...il rivestimento acquista (e fa acquistare all'architettura) nuovi valori- valori plastici sotto il cielo, sotto il sole, nelle luci notturne, brillando e mutando di aspetto col volgere delle ombre (e s'agginga a tutto questo il colore...).

Giò Ponti, Domus, n° 328, 1957

La presenza dello schermo è una sorta di “paesaggio originario e primitivo” per le nuove generazioni, abituate sin quasi dalla nascita alla “epifania” dell’immagine in movimento attraverso una superficie.
Negli anni Ottanta esisteva già la televisione a colori: lo schermo è un oggetto che è stato sempre presente nella nostra memoria e assorbito nella nostra realtà quotidiana, è quasi un dato esistente “a priori” nella nostra percezione dello spazio. Ma ciò che per me e per la mia generazione è un assioma, un dato scontato (la presenza dello schermo) è stato per le generazioni precedenti un vero e proprio EVENTO!
La nascita dei programmi bitmap per la manipolazione dei punti, l’evoluzione del computer e dello schermo grafico, lo sviluppo delle interfacce e l’insieme degli sviluppi tecnologici che hanno portato alla creazione dello schermo bitmappato hanno avuto per alcuni aspetti un ruolo fondamentale nella definizione del concetto di superficie e di superficialità nella scena architettonica contemporanea.
Tali concetti nel sentire comune sono connotati in maniera negativa: se ci si occupa solo di superficie, di epidermide si compie un’operazione poco profonda e si può quindi facilmente cadere in pregiudizi negativi generati dalla convinzione di una connotazione negativa , di un “peccato d’origine” legato alla superficie. Ciò diventa evidente se si compie un’analisi di tipo storico.

  • Con il  Movimento Moderno, nato sotto la spinta propulsiva della Rivoluzione Industriale, in campo architettonico, vi è un vero e proprio rifiuto della decorazione e del valore della superficie che vengono eclissati dall’importanza attribuita ai meccanismi funzionali, generativi, spaziali dell’architettura in una sorta di trasposizione dei meccanismi produttivi e seriali propri dell’era industriale in campo architettonico.

Oggi l’elemento bidimensionale delle superfici, degli schermi fa parte del nostro immaginario, del nostro paesaggio abituale ed è talmente forte che è pressoché impossibile prescinderne nella ricerca architettonica contemporanea.
A metà degli anni Sessanta ci si comincia ad allontanare dal concetto di “ornamento è delitto”e si cominciano a sfaldare alcuni principi propri del Movimento funzionalista.

Robert Venturi, architetto e critico, è il primo a teorizzare un ritorno alla decorazione e all’ornamento in maniera anche ludica e autoironica  per l’architettura. Egli lavora all’interno della corrente Post Modern alla rottura dell’impalcatura concettuale del Movimento Moderno.
Le sue teorie individuano due modi di fare architettura, quello dell'architettura duck ( l’edificio come scultura articolata parlante) e quello dell'architettura decorated shed (architettura come maschera, applicazione di uno strato decorato sulle superfici planari della scatola, applicazione significante, rappresentativa di uno specifico messaggio anche commerciale).
Con l’avvento delle nuove tecnologie informatiche, Venturi sviluppa un nesso, in maniera  forzata, tra elettronica, possibilità proiettiva degli schermi, iconografia e superficialità limitandosi però ad una interpretazione banale della superficie architettonica considerata esclusivamente come mera applicazione alla scatola.

Herzog & De Meuron si formano vicino ad Aldo Rossi e quindi non hanno forte interesse per fatti di natura specificatamente spaziale. Lavorano su elementi stereometrici e concentrano la forza dell’architettura sulla pelle, sul trattamento della superficie, sui materiali.
Di fronte al Post-modern, consumato un modo di fare architettura, giunti alla fine della storia, come testimoniato dalle ripetizioni senza senso degli stili, Herzog & De Meuron propongono come via di uscita solo un ritorno alle origini, al grado zero dell’architettura.
La ricerca dell’origine, che sembra essere la spinta propulsiva dell’opera di questi architetti e la reinterpretazione del pensiero filosofico di Nitzsche e Heidegger, porta da un lato a semplificare la forma, fino a che non si possa parlare, in alcun modo, di impronta personale degli architetti, e, dall’altro, ad indagare la natura dei materiali rendendoli unici protagonisti delle superfici.
L’importanza assegnata alla materia e alla superficie, è strettamente connessa al rifiuto dell’iconografia e del desiderio di caratterizzare l’opera architettonica attraverso l’espressione  individuale.
Negli ultimi anni, i due architetti hanno iniziato a concepire gli edifici come macchine comunicative, integrando nella pelle l’elemento di mutazione, i flussi di informazione, di metamorfosi dell’architettura in concomitanza con le variazioni dell’ambiente esterno, delle luci, del vento, ecc…

Jean Nouvel è una personalità rabdomantica ed è un personaggio  che è riuscito a cogliere degli aspetti importanti della società contemporanea frammentata nelle sue molteplici sfaccettature (cinema, moda, televisione, pubblicità ecc…) e a farli diventare parte integrate delle sue architetture. Nella sua maniera di affrontare il tema della superficie e della bidimensionalità, Nouvel è riuscito a conferire alla superficie a due dimensioni una caratterizzazione di rivelazione di una  profondità.

Istituto del Mondo Arabo, Parigi, 1987

“L'architettura deve ormai significare, comunicare, raccontare... deve rivolgersi più all'anima che alla vista... e per conseguire queste finalità, ogni espediente è concesso...” (Jean Nouvel)

Qui la comunicazione fra uomo e edifico avviene, oltre che a scala architettonica, a livello antropologico-culturale. Il prospetto diventa metafora di un’osmosi comunicativa fra culture diverse.
L’incontro è mediato da un prospetto di 240 diaframmi in acciaio, che richiamano nel ricamo i mushrabiyyas arabi, azionati da cellule fotoelettriche governate da un elaboratore centrale, che reagiscono all’intensità della luce modulandola all’interno dell’architettura. Esattamente come l’iride di un occhio. Si tratta di una delle prime pareti interattive in cui Nouvel evoca il mondo geometrico, algebrico e decorativo arabo in grado di creare degli ambienti sensibili grazie al fattore tecnologico presente nella parete.

 

Fondazione Cartier, Parigi, 1994

“Se ho tre piani di vetro in parallelo, che cosa vedo? C’è un gioco di riflessi nell’edificio Cartier che è la conseguenza di certe immagini sovrapposte, astratte, virtuali, che finora abbiamo visto apparire solo sui computer” (Jean Nouvel)

In questo progetto Nouvel usa il vetro come catalizzatore della nuova architettura. Muovendosi dal canone tipico dell'architettura industriale, Nouvel opera una trasformazione: la trasparenza, catalizzatore delle architetture “gropiussiane”, oggettiva pur nella rottura con i canoni prospettici della tradizione, diventa soggettiva, decorativa, illusionistica, rivelata nel valore in sé, in quanto valore di schermo. Quella che Nouvel crea è una superficie ambigua e continuamente mutante, caratterizzata dal coinvolgimento dello spettatore in un gioco di alternanza tra immagini reali-immagini riflesse, tra reale e virtuale.

Torre Agbar, Barcellona, 2003

“La superficie dell’edificio fa pensare all’acqua: liscia, continua, ma anche vibrante e trasparente, perché la sua materia può essere interpretata come una profondità indefinita e colorata, ricca di luminose sfaccettature.” (Jean Nouvel)

Nella torre di Barcellona, Nouvel riesce a  creare una vera e propria “architettura pixelata” riuscendo a cogliere nella dimensione dello schermo un nuovo valore estetico. Il sistema superficiale è formato da due pelli per cui con la semplice apertura della pelle esterna e con piccole variazioni di colore e di posizione si percepisce la connotazione intrinseca tra superficie e oggetto. Vi è una trasposizione molto interessante dell’estetica del pixel, della texture, dello schermo: ciò è evidente entrando nell’atrio dove il misticismo di Ronchamp si trasforma nell'idea di essere parte e all'interno di un computer.

Anche le architetture di Toyo Ito esprimono la nuova bidimensionalità, non superficiale e decorativa, ma profonda, che diventa struttura dell'architettura stessa.

In conclusione, gli ambienti virtuali in cui lavoriamo influenzano il nostro modo di concepire le cose, entrano in alcuni aspetti della ricerca artistica e architettonica contemporanea. La presenza degli schermi e dei pixel si fa opera d'arte e di architettura non meramente tramite l'evocazione dell'eletronica ma attraverso una maniera e un'idea di progettazione totalizzante in cui il mondo digitale entra in contatto e pian piano si mischia, confondendosi, con la vita e la dimensione reale.